Il potenziamento del capitale umano come elemento cardine di occupabilità, specie in un contesto di crisi, e la necessità di ripensare l’attuale sistema della formazione nel segno di una maggiore integrazione con il mondo del lavoro: ecco il filo conduttore del Rapporto ISFOL 2009.
.
Gli effetti della crisi sul lavoro: l’Italia regge meglio di molti altri paesi europei
Rispetto alla media europea l’occupazione in Italia è diminuita di meno: nel secondo trimestre 2009 si registra una contrazione dello 0,9%, contro una media in Europa dell’1,9%. Valori peggiori dei nostri si registrano in Inghilterra, Francia, Austria, nei Paesi scandinavi. Il Portogallo ha avuto un calo del 2,7%. La Spagna addirittura del 7,1%.
Anche la crescita del numero di disoccupati appare in Italia più contenuta rispetto all’incremento registrato in molti paesi comunitari.
Vanno sottolineate due caratteristiche italiane che hanno ridotto, almeno finora, l’impatto della crisi:
- le dimensioni minori della bolla edilizia (e della finanza, in parte ad essa connessa) rispetto a paesi come Spagna e Inghilterra;
- l’incentivo a mantenere quanto più possibile i lavoratori in azienda attraverso l’estensione generalizzata della Cassa integrazione guadagni.
Si riduce l’orario medio di lavoro
In Italia si osserva una contrazione dell’orario medio di lavoro più sostenuta che altrove: nell’ultimo anno, la riduzione è stata mediamente in Europa circa un quarto d’ora, da noi il tempo medio di lavoro è invece diminuito di circa mezz’ora. Si tratta di una risposta alla crisi fornita dalle imprese in alternativa all’espulsione dei propri dipendenti.
Un’ulteriore conferma di questi comportamenti viene dall’incremento del part time: nel secondo trimestre 2009 il lavoro dipendente a tempo indeterminato di tipo part time è cresciuto del 2,1%, mentre l’occupazione full time è rimasta sostanzialmente ferma. La crescita dei contratti part time ha riguardato più la componente maschile che quella femminile ed è stata più accentuata nei settori di attività più colpiti dalla crisi.
Un altro importante fattore che motiva l’accentuata riduzione dell’orario medio di lavoro in Italia è imputabile alle scelte del Governo di fronteggiare la crisi attraverso un robusto potenziamento delle risorse degli ammortizzatori sociali e un consistente ampliamento della platea dei beneficiari, sino a coinvolgere anche lavoratori per i quali non era precedentemente prevista alcuna tutela.
Cassa Integrazione: forte scarto tra ore autorizzate ed ore effettivamente utilizzate.
Le richieste di Cassa Integrazione Guadagni hanno fatto registrare nel corso del 2009 un incremento notevole. Va detto, tuttavia, che le imprese solitamente usufruiscono solo di una parte delle ore autorizzate: nel 2009 è stato autorizzato solo il 60% di ore autorizzate contro il 77% del 2008.
Nei primi sette mesi del 2009, su quasi 325 milioni di ore di CIGO autorizzate ne risultavano utilizzate 195 milioni. E delle 138 milioni di ore di CIGS e di trattamenti in deroga autorizzate ne sono state impiegate 88 milioni.
Questo scarto tra ore di cassa integrazione autorizzate e ore effettivamente utilizzate rappresenta un segno evidente dell’incertezza sul futuro che ha coinvolto le imprese dall’esplodere della crisi in poi. Ma si tratta anche di una ulteriore conferma del tentativo da parte delle aziende di mantenere il più possibile la propria manodopera in organico, di non licenziare, pena il rischio di trovarsi in carenza di professionalità e di capitale umano al momento della ripresa.
PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA
La “rivincita” delle donne
Tra l’inizio del 2008 e quello del 2009 il tasso di occupazione femminile nell’Europa a 27 è sceso di quattro decimali di punto, contro l’1,6% degli uomini. In Italia si è verificato un fenomeno analogo, meno 0,6% per le donne e meno 1,2% per gli uomini.
La “rivincita” delle donne è spiegata dal fatto che la crisi ha investito soprattutto i comparti manifatturieri e il settore edile, dove è più forte la presenza maschile, specie dopo il dimagrimento degli anni Novanta nei settori del tessile e dell’abbigliamento. Fino a questo momento, inoltre, vanno registrate contrazioni occupazionali molto meno intense nei settori terziari (sia per l’ovvia tenuta della pubblica amministrazione, sia per la caduta men che proporzionale dei consumi).
Tra l’altro, nel nostro paese la crescita occupazionale degli ultimi anni è dovuta in buona parte proprio alle donne. Anche se i divari di genere rimangono tuttora molto ampi, specialmente nel Mezzogiorno, dove il tasso di occupazione maschile è il doppio di quello femminile: 60% contro il 30%. Al Nord, invece, i tassi di occupazione tendono a convergere: quello maschile è pari al 75,1%, quello femminile risulta del 57%. I rispettivi valori sono nel Centro il 71,9 contro il 53,3%.
La maternità continua a essere uno dei fattori più critici per le donne che lavorano: se prima della nascita del figlio lavorano 59 donne su 100, dopo tale evento ne continuano a lavorare solo 43. E nel 90% dei casi la motivazione principale dell’abbandono del lavoro è legata alle esigenze di cura dei figli.
La crisi acutizza i divari territoriali
Il tasso di occupazione nel Mezzogiorno si è ridotto in modo più accentuato che nel Centro-Nord: è calato del 2%, passando dal 47% del secondo trimestre 2008 al 45% del secondo trimestre 2009; mentre non supera il punto percentuale nel resto del Paese. Tra la forza lavoro del Mezzogiorno un individuo su due è inattivo, contro il 33% del Centro e valori intorno al 30% nel Nord.
Va osservato che le statistiche nazionali rappresentano, ovunque in Europa, la media nazionale di valori regionali tra loro molto differenti. Tuttavia, nessun paese europeo ha al suo interno divari territoriali cosi ampi come il nostro. Le regioni settentrionali, per quanto riguarda gli indicatori del mercato del lavoro, si trovano in una posizione molto più alta rispetto alla media comunitaria, mentre quelle meridionali appaiono sempre in forte ritardo, spesso agli ultimi posti delle classifiche europee. Basta guardare al tasso di disoccupazione nel 2008: il 6,7% nazionale si riduce al 3,9% al Nord e cresce al 12,0 % nel Sud.
Giovani a rischio
La congiuntura economica colpisce innanzitutto chi entra nel mercato del lavoro per la prima volta. I giovani europei tra i 15 e i 24 anni senza un’occupazione sono ormai circa 5 milioni. Nel primo trimestre del 2009, dopo tre anni di flessione, la disoccupazione giovanile ha ripreso a crescere, raggiungendo in Europa il 18,3% e in Italia il 26,3%.
In Italia la disoccupazione giovanile nel secondo trimestre 2009 è del 24%. L’andamento del tasso di occupazione dei 15-24enni si è mantenuto sostanzialmente costante tra il primo trimestre 2007 e il primo trimestre 2008; ma è poi bruscamente caduto nel 2009, con un’accelerazione ben più marcata rispetto all’intera popolazione in età di lavoro. Il dato relativo al secondo trimestre del 2009 mostra, inoltre, un calo del 3,6% rispetto all’analogo periodo del 2008, mentre è stato dello 0,7% per tutta la forza lavoro.
ISTRUZIONE E FORMAZIONE
Apprendistato: contrazione nel Mezzogiorno.
Nel 2008 vi è stata una contrazione dell’apprendistato nelle Regioni meridionali, pari al 6,4% rispetto al 2007. Tale calo ha quasi annullato l’intero incremento registrato a partire dal 2004.
Viceversa, nel Centro-Nord l’apprendistato è continuato ad aumentare nel corso di tutto il 2008, nel Nord-Ovest si è passati da 190 mila a oltre 196 mila apprendisti; nel Nord-Est da 162 mila a quasi 164 mila; nel Centro da 157 mila a 162 mila.
Università e lavoro: un incontro difficile
Tra i giovani italiani sono i laureati a fare registrare le diminuzioni più significative nei tassi di occupazione. Inoltre, la domanda di lavoratori qualificati non si è incrementata in misura sufficiente ad assorbire l’offerta. E si sono verificati evidenti mismatch (disallineamenti) tra i profili richiesti dalle imprese e quelli rinvenibili tra le forze di lavoro.
Nel frattempo gli studenti universitari aumentano. Cresce il tasso di passaggio all’università (+2,7%) e il tasso di immatricolazione (+1,2%). Tuttavia, diminuisce il numero di laureati in rapporto alla popolazione dei 23enni e dei 25enni, segno di una qualche difficoltà nella regolarità degli studi.
Istruzione e formazione: 126 mila “dispersi” tra i 14-17enni
Il 5,4% dei 14-17enni, vale a dire 126 mila ragazzi, risultano al di fuori di qualsiasi percorso di istruzione e formazione.
Anche in questo caso dobbiamo considerare gli scarti territoriali: con un valore massimo del 7,7% nelle regioni del Sud e un valore minimo del 2,8% nel Nord-Est, dove tra l’altro quasi la metà dei “dispersi” riguarda apprendisti che non svolgono attività di formazione.
Scolarità ancora in crescita. Maggiore integrazione tra istruzione e formazione
Il tasso di scolarità dei giovani tra i 14 e i 18 anni è arrivato al 93%. Si registra tuttavia un calo del tasso di scolarità in relazione al crescere dell’età e in particolare intorno ai 16 anni, ossia in corrispondenza con la conclusione del ciclo di istruzione obbligatoria. Altro aspetto delicato è la regolarità degli studi: il relativo tasso è molto buono nei licei mentre negli istituti professionali solo 55 studenti su 100 risultano in regola con il percorso scolastico.
Il bilancio dei percorsi triennali di istruzione e formazione professionale è sostanzialmente positivo, a giudicare dalle richieste provenienti dal territorio e dall’apprezzamento delle imprese. Il numero degli allievi è aumentato di cinque volte in sei anni e il 78,4% conclude il percorso formativo.
Relativamente agli IFTS, cioè l’Istruzione e formazione tecnica superiore, l’offerta è ancora bassa: in un decennio sono stati programmati 3.500 percorsi, un numero ancora molto esiguo rispetto alle esigenze dell’impresa la cui richiesta è pari a quella di giovani con laurea triennale.
La formazione in apprendistato – ossia l’apprendimento svolto in forte integrazione con il lavoro – è ancora troppo ridotta: con un livello minimo nelle Isole, pari all’1%, e uno massimo nel Nord-Est, che non supera comunque il 35%. Nel Centro Italia la quota di apprendisti che fa formazione è del 10%. Nel Nord-Ovest circa il 25%.
Aumenta la partecipazione degli adulti alle attività formative
La partecipazione degli adulti alle attività formative risulta in crescita nel 2008. L’indicatore utilizzato per il benchmark della strategia di Lisbona, relativo alla fascia d’età dei 25-64enni coinvolti in attività di apprendimento permanente, ha raggiunto il 6,3%. E’ un valore ancora basso rispetto all’obiettivo fissato a Lisbona del 12,5% entro il 2010. Obiettivo comunque fallito anche a livello di media europea, che è ferma al 9,6%.
Per quanto riguarda i soli occupati, anche qui si riscontra un incremento abbastanza significativo di coloro che frequentano corsi di studio e/o di formazione, con una crescita dello 0,2% nel 2007 e dello 0,6% nel 2008. Si registra, inoltre, un netto miglioramento della partecipazione femminile: nel 2008 tra le donne occupate il 9% ha partecipato ad attività formative, contro il 6,3% degli uomini.
Le aziende che fanno formazione registrano in media performance migliori sotto il profilo della redditività, in particolar modo nelle imprese innovative e coinvolte nei processi di certificazione sulla responsabilità sociale d’impresa.
Fondi Paritetici Interprofessionali: +8,1% nel 2009
L’incremento dei Fondi Paritetici Interprofessionali, gli organismi promossi dalle parti sociali per le attività di formazione continua, dal 2008 al 2009 è dell’8,1%. Il contributo all’aumento delle adesioni sembra provenire soprattutto da imprese di piccola o piccolissima dimensione. E il peso percentuale del Sud, per la prima volta in cinque anni, aumenta rispetto al Nord e al Centro. L’insieme dei Fondi Paritetici può contare su un introito annuo che si avvicina ai 400 milioni di euro.
Dall’avvio nel 2004 all’aprile 2009 i Fondi Paritetici hanno finanziato circa 10 mila Piani formativi, che hanno coinvolto 57 mila imprese e circa un milione e 100 mila lavoratori. In termini finanziari, per la formazione si è impegnata una cifra pari a circa 1 miliardo di euro, e rispetto agli anni passati, il 2008 ha fatto registrare un sensibile incremento delle attività formative.
–