Cultura, digitale, Economia, Eventi, Facebook, Imprese 2.0, Innovazione, LinkedIn, Marketing, Nordest, Treviso, Turismo, Veneto, Venezia

B2B Italia Australia, innovativo evento “Talking Continents” con web 2.0, Castelbrando, 9-11 luglio 2010

Castelbrando come location d’eccezione per “Talking Continents”, importante evento nel cuore del Nordest finalizzato all’incontro tra Italia e Australia.

Tre giorni di iniziative per il primo convegno-workshop , organizzato da Expo Venice, l’Associazione Italia – Australia e CastelBrando per far esprimere tutte le potenzialità offerte dall’interscambio tra Italia e il continente Australiano.

La filosofia dell’innovativo evento è “azienda-verso-azienda”, ovvero B2B rafforzato dalla scelta della relazione digitale web 2.0 (facebook, twitter e linkedin) per socializzare l’interscambio economico e socio-culturale inteso come ponte ed eredità del percorso storico tracciato nei secoli dai più grandi mercati economici che si posizionano lungo la “via dell’oro” che da Venezia, porta d’Oriente dell’Europa, passando dagli Emirati, India, Sud-Est Asiatico, raggiunge l’Australia.

L’evento dedicata una giornata per gli operatori e due aperte al pubblico:

Venerdì 9 luglio 2010:

  • 1° CONVEGNO & WORKSHOP “TALKING CONTINENTS”
  • DESTINATARI: Riservato ad operatori B2B Italiani o Australiani che intendano insediare, rafforzare o introdurre commercialmente prodotti/ servizi, pratiche import/export.
  • PRINCIPIO ISPIRATORE: l’Australia è un continente solido che accoglie milioni di Italiani in esso residenti per lavoro e studio ed un’economia stabile che cresce molto più di quella europea. Ad oggi l’Australia rappresenta il mercato ideale, l’alternativa poco nota per posizionare prodotti e servizi ed avviare una pratica di scambio commerciale costruttivo, biunivoco ed un “traffico” che oggi risulta ancora inespresso per quantità ed eccellenza, a causa della mancanza di momenti di incontro ed analisi sinottica delle opportunità.
  • MODALITA’: Il convegno vedrà l’intervento di importanti personalità nel panorama economico istituzionale Italiano ed Australiano ed una sessione di incontri B2B fra i maggiori operatori australiani, Italiani e dei paesi della “via dell’oro” (Emirati, India, Cina, Sud Est Asiatico) per introdurre e discutere concretamente le opportunità nascenti ed applicare a modelli di business reali le implicazioni delle tematiche affrontate.
  • SCOPO: Presentare strumenti e strategie a disposizione delle imprese Italiane ed australiane per sviluppare i rispettivi mercati e/o Joint Ventures, agevolando gli scambi economici e commerciali tra i due Paesi con incontri fra operatori per estendere il processo di internazionalizzazione al nuovo e promettente continente Australiano, ricco di opportunità ed in grande sviluppo.
  • SETTORI COINVOLTI: Tourism, Travel & Culture, Food and Beverage, Fashion , DAC- Design, Architecture and Constructions.

Sabato 10 e domenica 11 luglio

  • TALKING CONTINENTS, TALKING CULTURES (v. nel programma completo).
  • DESTINATARI: Aperto al pubblico.
  • ATTIVITA’: esposizione di prodotti gastronomici, progetti artistici (Esposizioni: sculture di luce, effetti di luce, opere a sbalzo e cesello, mostra di pittura australiana e aborigena), la proiezione di un film australiano e musica e suoni a cura del gruppo Florio Pozza & Didge Band.
  • ORGANIZZAZIONE: Evento organizzato da Expo Venice Spa, la società veneziana protagonista degli eventi fieristici in Veneto, insieme all’Associazione Italia-Australia, Australian Government Austrade e CastelBrando e con il Patrocinio del Ministero dello Sviluppo Economico, Regione Veneto, Provincia di Treviso, in collaborazione Unioncamere del Veneto – Eurosportello del Veneto.

Network 2.0, info e dettagli organizzativi:

Castelbrando

fonti immagini: http://www.crossed-flag-pins.com, http://www.villecastellipalazzi.com

CENSIS, Comunicazione, digitale, Facebook, Innovazione, Ricerca, Società della Conoscenza, Twitter, wikipedia, YouTube

8° RAPPORTO CENSIS/Ucsi sulla comunicazione «I media tra crisi e metamorfosi»

Presentato l’8° Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione «I media tra crisi e metamorfosi». Contagiati dai social network più di 19 milioni di italiani

Facebook il più popolare (conosciuto dal 90,3% dei giovani), YouTube il più utilizzato (dal 67,8%). Ma si teme per la privacy

Fenomeni di massa. Sono cinque i social network più popolari: Facebook, conosciuto dal 61,6% degli italiani, YouTube (60,9%), Messenger (50,5%), Skype (37,6%) e MySpace (31,8%). Le percentuali raggiungono valori ancora più elevati tra i giovani di 14-29 anni. Per nove ragazzi su dieci Facebook (90,3%), YouTube (89,2%) e Messenger (89,1%) rappresentano mondi ben noti, con le loro regole e i loro «contatti». Nell’universo giovanile hanno una popolarità considerevole, sebbene inferiore, anche MySpace (68,8%) e Skype (62,9%). I giovani hanno preso l’abitudine a «vivere connessi», dato che l’uso congiunto dei cellulari e di Internet li ha messi nella condizione di essere continuamente in rapporto con tutti quelli che condividono la loro esperienza di vita quotidiana. Complessivamente, si può stimare che poco meno di 33 milioni di italiani conoscano almeno un social network e che gli effettivi utilizzatori siano 19,8 milioni.

Facebook il più popolare, YouTube il più utilizzato. Gli utenti di YouTube sono pari al 28,3% della popolazione (il 67,8% nella fascia 14-29 anni, il 39,5% tra le persone più istruite), quelli di Facebook il 22,9% (il 56,8% dei giovani, il 34,4% dei soggetti con titolo di studio più elevato). Il web 2.0 ha avuto uno sviluppo esponenziale grazie all’impiego di Internet per costruire insieme agli altri una conoscenza diffusa (come Wikipedia), trovare opportunità di lavoro e di carriera (LinkedIn), scambiarsi merci (eBay), ma anche notizie, confidenze e pettegolezzi (Messenger, Facebook, Twitter), oppure video (YouTube) e ogni altro prodotto audiovisivo, quand’anche protetto dal diritto d’autore (eMule). Grazie a smartphone, lettori mp3, e-reader, il centro di gravità dei consumi digitali si sposta sempre più dal computer ai piccoli apparecchi portatili, che consentono di accedere a informazioni, musica, libri, giochi, utilities in un rapporto di piena complementarietà con la rete, con forme e tempi di fruizione sempre più personalizzati.

Cosa si fa su Facebook. La principale motivazione che ha spinto gli utenti a iscriversi a Facebook è il desiderio di mantenere i contatti con gli amici (70,5%) e di ritrovare vecchi compagni di scuola ed ex colleghi (57,8%), mentre la speranza di intrecciare una relazione intima ha spinto all’iscrizione appena l’1,8% degli utenti, in particolare i maschi (2,6%). La maggioranza (il 68,4%) preferisce accedere a Facebook nelle ore serali, il 36,5% si connette solitamente nelle ore diurne, il 15,3% durante l’orario di lavoro o di studio, e solo uno su dieci accede al sito esclusivamente nel weekend. Le attività preferite dagli utenti di Facebook sono: guardare cosa c’è nelle bacheche degli amici (41,2%), inviare messaggi personali (40,5%), inserire commenti nelle bacheche degli amici (37,2%), chattare con chi è in linea (35,7%), utilizzare le applicazioni disponibili come test e giochi (24,6%), inserire foto, video o file musicali (21,3%). Il 54,6% degli utenti fa parte di gruppi di interesse o ha sottoscritto citazioni apparse su Facebook, e il 10% ha effettivamente partecipato a eventi sociali, manifestazioni politiche, spettacoli di cui è venuto a conoscenza tramite il social network.

Luci e ombre su Fb. Poco più di un utente su quattro (il 26,8%) constata che da quando si è iscritto a Facebook tende a dedicare meno tempo ad altro. L’attività più penalizzata è la lettura di libri, per il 42,4% degli iscritti a Facebook che avvertono di dedicare meno tempo ad altre attività. Segue la consultazione di altri siti Internet (40%), guardare la televisione (26,5%), studiare o lavorare (21,7%), sentire gli amici al telefono (14,4%), uscire con gli amici (11,5%), andare al cinema (11%). C’è anche, seppure in misura minoritaria (per l’8,5% degli iscritti), il timore che dalla presenza su Facebook possano derivare dei rischi. Quello che preoccupa di più è la violazione della privacy: il 72,1% degli utenti che nutrono preoccupazioni è di questo avviso, il 35,1% teme l’eventualità di conoscere persone pericolose, il 23,4% indica l’indebolimento delle relazioni dirette con i familiari e gli amici, il 13,4% l’abbassamento del rendimento nel lavoro o nello studio, e il 9,3% teme che dall’uso di Facebook possano derivare problemi per la propria reputazione (ad esempio, che il profilo personale venga controllato dal datore di lavoro).

L’evoluzione dei consumi mediatici. In crescita la diffusione di tutti i mezzi di comunicazione tra il 2001 e il 2009. Aumentano gli utenti di Internet (+26,9%) e dei telefoni cellulari (+12,2%), ma anche la radio – che ormai si può ascoltare anche dal lettore mp3, dal telefonino e dal web – fa un grande balzo in avanti (+12,4%), così come crescono, anche se di poco, i lettori di libri (+2,5%) e di giornali (+3,6%), e la stessa televisione raggiunge praticamente la quasi totalità degli italiani (+2%). Gli utenti della Tv arrivano a quota 97,8% della popolazione, il cellulare sale all’85%, la radio all’81,2% (in particolare, l’ascolto della radio dal lettore mp3 è tipico del 46,7% dei giovani tra 14 e 29 anni), i giornali al 64,2%, i libri al 56,5%, Internet al 47%. La diffusione dei nuovi media non ha penalizzato quelli già esistenti: nella società digitale i nuovi mezzi di comunicazione non sostituiscono i vecchi, anzi, affiancandosi ad essi, creano nuovi stimoli al loro impiego secondo la logica della moltiplicazione e integrazione.

I riflessi della crisi. La crisi che stiamo attraversando – che è anche la prima grande crisi conosciuta dalla società digitale – ha accelerato il processo di trasformazione del sistema dei media già in atto, sospinto dalle innovazioni tecnologiche, determinando con notevole rapidità un riposizionamento dei diversi mezzi. Si rileva l’espansione dei media gratuiti e la sostanziale battuta d’arresto di quelli a pagamento (ad eccezione della Tv digitale). Mentre l’uso complessivo del telefono cellulare rimane pressoché stabile tra il 2007 e il 2009 (con un leggero calo dall’86,4% all’85% della popolazione), a crescere notevolmente è stato l’uso del cellulare nelle sue funzioni di base (dal 48,3% al 70%), mentre quelle più sofisticate – e costose – sono diminuite: l’uso dello smartphone è sceso dal 30,1% al 14,3%, il videofonino dall’8% allo 0,8%. Questi dati non verificano il possesso dell’apparecchio, bensì ne misurano l’uso effettivo. Il telefonino è dunque un bene a cui non si può rinunciare, neanche in tempi di crisi, però qualcosa si può risparmiare, magari inviando qualche sms in più ed evitando di connettersi a Internet con i costosissimi servizi wap.

Le nuove Tv. Le nuove forme di televisione sono entrate a far parte delle abitudini degli italiani. Negli ultimi due anni, tra il 2007 e il 2009, l’utenza della Tv satellitare passa dal 27,3% al 35,4% della popolazione e il digitale terrestre raddoppia il suo pubblico (dal 13,4% al 28%), benché lo switch over del segnale analogico abbia interessato finora solo alcune zone del territorio nazionale. La Tv via Internet triplica la sua utenza, passando dal 4,6% al 15,2%, e la mobile Tv interessa già l’1,7% della popolazione. In tempi di crisi, dovendo fare delle scelte, gli italiani si sono orientati verso l’investimento nei media che forniscono più servizi, di diverso genere e cumulabili tra i membri della famiglia, come i pacchetti delle pay Tv: oggi il 60,7% di chi guarda la Tv digitale (satellitare o terrestre) ha sottoscritto un abbonamento, soprattutto per guardare le partite di calcio e gli eventi sportivi in esclusiva (31,2%), i film in prima visione (24,8%), i cartoni animati per i bambini (13%).

Si rinuncia alla carta stampata. Negli ultimi due anni la lettura dei quotidiani a pagamento passa dal 67% al 54,8%, invertendo la tendenza leggermente positiva che si era registrata negli anni immediatamente precedenti al 2007. Questo è il dato dell’utenza complessiva, cioè chi legge un quotidiano almeno una volta la settimana. L’utenza abituale, cioè chi lo legge almeno tre volte la settimana, passa dal 51,1% del 2007 al 34,5% del 2009. Se prima della crisi la metà degli italiani aveva un contatto stabile con i quotidiani, adesso questa porzione si è ridotta a un terzo. Se si pensa che in questa quota sono compresi anche i quotidiani sportivi, si può capire quanto la crisi abbia reso ancora più marginale il ruolo della carta stampata nel processo di formazione dell’opinione pubblica nel nostro Paese. La flessione non è neanche compensata dall’aumento della diffusione della free press, che rimane pressoché stabile (l’utenza passa dal 34,7% al 35,7%). La lettura, anche occasionale, dei settimanali coinvolge nel 2009 il 26,1% degli italiani (-14,2% rispetto al 2007) e quella dei mensili il 18,6% (-8,1%). In leggera flessione anche la lettura dei libri, che era cresciuta per tutto il decennio, raggiungendo il 59,4% della popolazione nel 2007, per ripiegare poi al 56,5% nel 2009.

Verso la saturazione dell’utenza di Internet. L’impiego di Internet tra gli italiani è passato dal 45,3% del 2007 al 47% della popolazione nel 2009. Quando ormai il web è diventato familiare per l’80,7% dei giovani e il 67,2% delle persone più istruite, il dato complessivo potrà aumentare solo di poco nel breve periodo. Per quanto riguarda i quotidiani on line, si registra una flessione dell’utenza (dal 21,1% al 17,7%) che non è certo riconducibile a motivi economici, bensì all’evoluzione degli impieghi della rete: si pensi ai portali che pubblicano anche notizie di cronaca e di costume, a link e finestre informative aperte nei blog e nei social network abitualmente frequentati, ai motori di ricerca e agli aggregatori che rintracciano automaticamente le notizie in rete.

Nasce il press divide. Il numero delle persone che hanno un rapporto esclusivo con i media audiovisivi (radio e Tv) rimane praticamente stabile (26,4%), mentre diminuiscono quanti hanno una «dieta mediatica» basata al tempo stesso su mezzi audiovisivi e mezzi a stampa (dal 42,8% al 24,9% tra il 2006 e il 2009). La somma di questi due gruppi rappresenta il totale di quanti non hanno ancora colmato il digital divide, la cui soglia si collocava nel 2006 al 71% e scende oggi al 51,3% della popolazione. Nasce però un nuovo divario tra quanti contemplano nelle proprie diete i media a stampa (insieme a radio, Tv e Internet) e quanti non li hanno ancora o non li hanno più. Se il digital divide si sta attenuando, il press divide invece aumenta, visto che nel 2006 era il 33,9% degli italiani a non avere contatti con i mezzi a stampa, mentre nel 2009 si è arrivati al 39,3% (+5,4%). Ad aumentare negli ultimi anni l’estraneità ai mezzi a stampa, e in misura rilevante, sono stati i giovani (+10%), gli uomini (+9,9%) e i più istruiti (+8,2%), cioè i soggetti da sempre ritenuti il traino della modernizzazione del Paese.

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Questi sono alcuni dei principali risultati dell’8° Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione, promosso da H3G, Mediaset, Mondadori, Rai e Telecom Italia, presentato oggi a Roma presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani da Giuseppe De Rita e Giuseppe Roma, Presidente e Direttore Generale del Censis, e discusso da Renato Schifani, Presidente del Senato, Andrea Melodia, Presidente dell’Ucsi, Fedele Confalonieri, Presidente di Mediaset, Maurizio Costa, Amministratore Delegato di Mondadori, Roberto Forte, Direttore Mobile Tv di H3G Italia, e Carlo Malinconico, Presidente della Fieg.

Fonte: http://www.censis.it

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RICERCA/Usare Internet sul luogo di lavoro per scopi personali?

web 2.0 business studio baroni

Un’interessante ricerca commissionata da Trend Micro offre uno spaccato di vita delle aziende italiane nell’era del Web 2.0. Se da un lato si dimostrano favorevoli all’uso delle tecnologie più avanzate, dall’altro si rivelano sempre meno liberali nei confronti del social networking

Sommario dei risultati:

  • In generale le politiche di soddisfazione del personale contemplano l’ampio utilizzo di strumenti tecnologici avanzati, ma con maggiori resistenze verso un libero uso Internet.
  • Per 7 aziende su 10 è accettabile che i dipendenti trascorrano non più di 20 minuti al giorno online a scopi personali.Le meno tolleranti appaiono le aziende sotto i 50 dipendenti.
  • Attualmente i siti più vietati nelle aziende riguardano: pornografia (56,2%), giochi (41,8%), scommesse e lotterie (37,9).
  • Ma anche chat e siti di social networking sono considerati sempre più a rischio. Le aziende più piccole, infatti, prevedono maggiori restrizioni per il futuro: 33% per le chat e 24,3% per i social network.
  • Le PMI sono sempre più preoccupate per la sicurezza informatica: i problemi più riscontrati sono lo spam con il conseguente rallentamento della rete (40%) e i virus nei sistemi (24,6%). Da segnalare che il 12,4% ha subito il furto di dispositivi mobili con dati aziendali.

20 minuti al giorno. E’ il tempo che 7 PMI italiane su 10 sono disposte a concedere ai propri dipendenti per la navigazione su Internet a fini personali. In generale, i responsabili aziendali sono favorevoli  all’ampio utilizzo di strumenti tecnologici avanzati (come, ad esempio, Blackberry o software innovativi) da parte del personale, ma per il futuro si profilano maggiori restrizioni sull’uso di Internet, in particolare per gli ormai popolarissimi siti di social networking come Facebook. Sono alcuni dei principali risultati di un’indagine – commissionata dal leader mondiale nella sicurezza dei contenuti Internet Trend Micro all’Istituto indipendente A&F Research – che offre un vero e proprio spaccato di vita delle aziende italiane nell’era delle tecnologie Web 2.0.


20 minuti di libertà su Internet al giorno

Lo studio Trend Micro, che ha coinvolto più di 150 piccole e medie aziende distribuite su tutto il territorio nazionale,  in generale ha messo in evidenza che, nell’ottica della soddisfazione del personale, buona parte degli intervistati si dichiara favorevole all’ampio ricorso degli strumenti tecnologici avanzati, da smartphone a tecnologie wi-fi, alle applicazioni più evolute (3,39 punti su 5 in una scala di valori da 1 a 5). Punteggio non molto distante da quello registrato da aspetti di base e più “scontati” come luoghi di lavoro confortevoli (4,02), ambiente informale (3,55), pause durante l’orario di lavoro (3,45). E’ emersa, però, una maggiore resistenza all’utilizzo non regolamentato di Internet sul posto di lavoro (2,37 punti su 5).

Analizzando quest’ultimo aspetto più da vicino, le aziende si sono dimostrate generalmente favorevoli a un moderato tempo di utilizzo della Rete per motivi non strettamente professionali. Il 68%, infatti,  ritiene accettabile un utilizzo non superiore ai 20 minuti al giorno. In particolare, le aziende più piccole (da 10 a 50 dipendenti) appaiono meno tolleranti, infatti solo il 26,3% giudica opportuno andare oltre i 20 minuti. Mentre il 44% delle aziende più grandi  (da 51 a 250 dipendenti) considera accettabile superare tale limite.

Internet in azienda: proibizionismo o liberalismo?

Per quanto riguarda l’uso scorretto della Rete da parte dei dipendenti, lo studio ha evidenziato che i rischi sono meglio identificati e già oggetto di limitazione nelle aziende con più di 50 dipendenti, mentre quelle più piccole sono più orientate ad intervenire in futuro con misure di “censura”, attualmente meno diffuse.

Attualmente la percezione di rischi e il “proibizionismo aziendale” verso Internet, si concentrano sull’area della pornografia (56,2%), dei giochi (41,8%), dellescommesse e lotterie (37,9), e della ricerca di anime gemelle (34%), in buona parte già oggi non accessibili, specie nelle aziende di maggiori dimensioni.

Per quanto riguarda l’utilizzo dei sempre più popolari siti di social networking e delle chat, se in generale le aziende finora si sono dimostrate un po’ più “liberali” (attualmente sono vietati complessivamente nel 28% dei casi), la tendenza per il futuro è uno stretto giro di vite, soprattutto nelle intenzioni delle imprese più piccole. Ad esempio, il 22,3% di queste ultime non consente già oggi l’accesso alle chat, per il futuro la percentuale sale al 33%.  Per i siti di social networking si passa dal 21,4% di oggi al 24,3% per il futuro. Le aziende piccole sembrano così seguire la strada già intrapresa dalle aziende più grandi che già vietano, nel 42% dei casi, le chat e i social network. Seguono, nella classifica delle attività considerate più a rischio e quindi già oggetto di restrizione, gli acquisti personalieffettuati online (27,5%).

Un rischio minore e una minore richiesta di limitazioni sono indirizzate alla ricerca di posti di lavoro in Rete, attualmente non consentite dal 16,3 % delle aziende, e all’uso di email personali (13,1 %). Anche in questo ambito emerge però una tendenza più restrittiva per il futuro (24,2% per la ricerca di lavoro online e 18,3% per le email personali.

I problemi di sicurezza informatica più riscontrati

Il fatto che le aziende stiano meditando azioni restrittive per il futuro è strettamente connesso ai numerosi problemi legati alla sicurezza informatica.

Guardando più da vicino il fenomeno del cybercrime nelle PMI, negli ultimi dodici mesi il problema più segnalato dalle aziende intervistate è lo spam (40% dei casi) con il conseguente sovraccarico e rallentamento della rete aziendale. Molto ricorrente è anche la presenza di virus nei sistemi (24,6% dei casi). Da segnalare anche che il 12,4% ha subito il furto di PC portatili, Blackberry e cellulari con dati aziendali.

Approfondimento sul social networking e i suggerimenti di Trend Micro

La “moda” dei siti di social networking e i pericoli per utenti e aziende

La tendenza verso una maggiore restrizione nei confronti dei siti di social network emersa dalla ricerca, dimostra che le aziende cominciano a percepire questi siti come un secondo livello di rischio emergente, legato alla diversificazione, ampiezza e incontrollabilità dei contatti ed informazioni rese pubbliche, e quindi anche a disposizione dei criminali informatici pronti a utilizzarle a loro vantaggio.

Il social networking è riuscito a farsi spazio nella vita di tutti i giorni: Facebook ne è l’esempio con quasi 200 milioni di utenti; a questo tipo di siti si aggiungono quelli dedicati alle relazioni professionali come  LinkedIn oppure i servizi di micro-blogging come Twitter.

Non sorprende, quindi, che questi servizi siano sempre di più allettanti per gli attacchi dei cybercriminali. Profili compromessi, applicazioni illegali, pubblicità di finte promozioni sono solo alcuni dei pericoli in cui possono imbattersi gli utenti. L’obiettivo principale è carpire informazioni sensibili e i dati delle carte di credito.

La fiducia, l’anello debole della catena. Trend Micro consiglia: prima di cliccare, pensa!

L’elemento chiave su cui fanno leva di tutti questi tipi di attacchi è la fiducia, il valore alla base dell’esistenza degli stessi social network. Proprio il fatto che un messaggio o un link provenga da un amico o da un collega, lo fa sembrare molto più credibile rispetto al tradizionale messaggio spam inviato da un estraneo tramite email. I ricercatori Trend Micro, anche attraverso i propri blog (http://blog.trendmicro.com/http://countermeasures.trendmicro.eu/ ) dedicati alle minacce informatiche, da tempo cercano di sensibilizzare gli utenti sull’argomento, offrendo non solo aggiornamenti continui sulle minacce, ma anche articoli con suggerimenti e spunti su cui riflettere.

Gli utenti devono essere più coscienti dell’importanza dei dati personali e acquisire una maggiore dimestichezza con i controlli della privacy disponibili sui siti di social e professional networking, utilizzandoli maggiormente. Non c’è bisogno, ad esempio, di rispondere al questionario “25 cose che mi riguardano” e poi postarlo sul proprio profilo. Come non è necessario condividere per intero la propria storia professionale e privata arricchendola di dettagli sulla formazione o il luogo in cui si abita. Soprattutto non è il caso di condividere il proprio nickname: non sono forse le informazioni necessarie per risalire alla password dell’account di posta o per accedere ai dati finanziari?

Dal momento in cui le informazioni personali diventano pubbliche non sono più controllabili.

Quindi la prossima volta, prima di cliccare su “Pubblica”, Trend Micro suggerisce di porci semplicemente questa domanda: “se un estraneo mi telefonasse chiedendomi questo tipo di informazione, gliela fornirei?”. Se la risposta è“no”, evitate di farlo anche online.

Metodologia della ricercaL’indagine quantitativa presso le PMI Italiane su “Rischi d’Impresa – Cybercrime e Sicurezza Informatica” commissionata da Trend Micro, è stata realizzata nel mese di luglio 2009 dalla società A&F Research attraverso interviste telefoniche, centralizzate da Milano, e dirette in tutta Italia.

Complessivamente sono state condotte 153 interviste così suddivise: 103 piccole aziende (da 10 a 50 dipendenti) e 50 medie aziende (da 51 a 250 dipendenti),  due terzi intervistati nel nord Italia e un terzo nel centro-sud Italia. Tutte le aziende del campione avevano almeno 8 PC collegati in rete.

Per quanto riguarda i settori merceologici il 38,6% delle aziende appartiene al comparto Manifatturiero, il 24,8 al Commercio all’Ingrosso e Dettaglio e il 36,8 % ad “Altri settori e Servizi”  (produzione e commercio Agroalimentare, Servizi alle Imprese, Turismo e ristorazione, Edilizia, Sanità ed Editoria).

Le figure professionali coinvolte nelle interviste sono state:

  • 78,4 % Responsabili Sistemi Informativi
  • 10,5% Responsabili Acquisti infrastrutture e servizi informatici
  • 7,2 % titolari
  • 3,9 Direttori Generali

Fonte: Trend Micro